La fine di una relazione può essere estramamente dolorosa per la persona: “nessuna spiegazione ipotetica può tranquillizzarmi rispetto all’amore” affermava Wittgenstein. La sofferenza, il senso di impotenza e la rabbia si fanno sentire potentemente, proprio come accade dopo un lutto. Il dolore per la rottura di un rapporto, non è difatti lontano da quello provato dopo un vero lutto e anzi, talvolta, è anche più incontenibile ed accompaganto da un pensiero difficile da digerire: la persona amata diventerà la persona di qualcun altro. Un vero e proprio boccone amaro. Per Cesare Pavese: “un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra miseria, nullità, inermia, e così si sintetizza la condizione di fine avvertita quando si entra in contatto con la parte più vulnerabile di se stessi”.
Le tentate soluzioni che la persona tende a mettere in atto, sono legate spesso all’evitamento, ovvero: si tenta di evitare i pensieri, la sofferenza, la rabbia. Si cerca perciò di distrarsi e di trattenere le lacrime. Soffrire, però, è inevitabile e per uscirne dobbiamo concedercelo, come sosteneva Frost. Il demone dev’essere esorcizzato, accettando le emozioni negative e canalizzandole.
Questo significa che possiamo concederci anche di rivivere i ricordi se ci arrivano: ogni ricordo porta con sè un pezzo importante della nostra esistenza e anche all’interno di un brutto ricordo, osservadolo con attenzione, possiamo trovare un aspetto positivo. Al contrario, se ci sforziamo di dimenticare, ostacoliamo il normale processo di rielaborazione; sarebbe come grattare la ferita con una lama appuntita.
Il buon marinaio sa che la temesta ha un inzio ed una fine e che l’unica cosa possibile da fare è abbassare le vele e attendere che passi.
Per superare questa esperienza, ritagliamo volontariamente uno spazio dedicato alla sofferenza, per imparare a gestire anzichè a subire per poi ricostruire il nostro equilibrio, a piccoli passi, partendo dalle macerie.
Concludo questo articolo citando la metafora dell’ostrica, che descrive, più di molte spiegazioni, quanto una ferita possa trasformarsi in qualcosa di meraviglioso : un’ostrica reagisce all’entrata di impurità come un granello di sabbia, producendo la perla. Quando infatti un elemento estraneo penetra nell’ostrica, creando un’azione di forte disturbo, il mollusco per proteggersi inizia a secernere una sostanza madreperlacea che isola, strato su strato, questo corpo estraneo. La perla è dunque il risultato di una ferita cicatrizzata.

Bibliografia

Chiodini, M., Meringolo, P., Nardone, G. (2016). Che le lacrime diventino perle. Ponte alle Grazie.

Muriana E., Verbiniz T. (2010). Psicopatologia della vita amorosa. Ponte alle Grazie

Nardone G., Balbi E., (2008). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Ponte alle Grazie.